La rassegna educativa di impegno civile e sociale basata su un sistema di valori di vita che da vita al Premio Borsellino che nel 2025 organizzerà la 33 edizione ha molti legami con lo scoutismo che è infatti un movimento aperto caratterizzato da un metodo educativo e da un codice di comportamento che invita i giovani a rispettare le regole e porta i ragazzi a diventare buoni cittadini, ad essere parte integrante e impegnata della società e sostenitori della legalità e fratellanza. Ancora una volta è dunque naturale che il Premio Borsellino incontri gli scout Agesci abruzzesi LUNEDI 13 GENNAIO IL SINDACO DE L'AQUILA PIERLUIGI BIONDI NELLA SALA DEL COMUNE - PALAZZO MARGHERITA - incontrerà il numeroso gruppo che a 30 anni dalla morte di don Peppe Diana, hanno organizzato una marcia per dire No alle Mafie attesi da Marisa Diana, sorella del sacerdote ucciso dalla camorra, il 19 marzo 1994 Don Peppe Diana è stato profondamente legato al mondo scout ancora prima di essere ordinato sacerdote: nel 1978 è entrato nell’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), un mondo che non lascerà mai più. Diana, da prete, è stato nominato assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa. In seguito, assisterà anche i Foulard Bianchi, una comunità di scout cattolici fondata nel 1926 in Francia, a Lourdes. Un legame, quindi, strettissimo che ha contraddistinto un’intera vita dedicata al prossimo, e in particolare ai giovani, che rappresentano la speranza di cambiamento in un territorio fortemente contagiato dalla criminalità organizzata. Altre due tappe sono state la Parrocchia di San Nicola di Bari, dove è stato assassinato don Diana, e il cimitero dov’è sepolto il parroco.
LA STORIA
Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico. Fu ucciso nella sua chiesa, la parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa. Aveva 36 anni. Quella mattina del 19 marzo 1994 E’ il 19 marzo 1994. Sono da poco passate le 7,20. Don Giuseppe Diana, 36 anni, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, arriva prima del solito nella sua parrocchia Ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. E’ sul piazzale della chiesa, in auto. E’ un uomo con meno di 40 anni. con un giubbotto nero e capelli lunghi. Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia. Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa. Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara quattro colpi, al volto e al petto. Per don Peppe, che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi. Il killer si dilegua. Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia. Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo. Quanto ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di colpire il clan Schiavone- Bidognetti. Ma prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la memoria di don Giuseppe Diana. Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso per vicende di donne. A queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli altari delle chiese della Foranìa di Casal di Principe, a Natale del 1991, con il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don Diana definiva la “dittatura armata” della camorra. Da 19 marzo di ventiquattro anni fa, molte cose sono cambiate. La sua morte è stata come un seme caduto nella buona terra, perché ha dato molti frutti. I colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai clan, sono stati pesanti. Le condanne all’ergastolo per i capi della camorra casalese hanno messo in ginocchio l’organizzazione criminale. Nel frattempo diversi beni sono stati confiscati ai boss e assegnati ad associazioni e cooperative sociali. Ora i criminali sono per lo più in carcere, mentre nel Cimitero di Casal di Principe la tomba di don Giuseppe Diana, è meta di migliaia di visitatori. E’ la rivincita dei familiari e degli amici di don Diana che sin dal giorno dopo la sua uccisione ne hanno difeso la memoria tra mille insidie, difficoltà e pericoli. Il giorno dei funerali di don Diana, Don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.