Don Tonino Bello è stato un vescovo cattolico. Amato e rispettato, ha saputo lasciare un segno indelebile nel cuore dei fedeli e della società in generale, al punto di avere un processo di Beatificazione avviato per lui dalla Congregazione delle cause dei santi e di essere insignito nel 2020 del titolo di Venerabile. Don Tonino Bello è stato un esempio di umiltà e dedizione al prossimo tale da meritare l’avvio del processo di Beatificazione. La sua stessa vita è stata un’incarnazione di fede, umiltà, dedizione al servizio degli altri, ma anche di lotta per la giustizia sociale e sostegno della pace. Sua la definizione di Chiesa del grembiule, una chiesa povera, umile, votata alla carità e alla misericordia senza distinzioni di sorta. Nato il 18 marzo 1935 nel Salento, trascorse l’infanzia nel paese di Alessano, dove ebbe modo di assistere alla morte dei fratellastri e del padre. Queste esperienze segnarono la sua sensibilità e alimentarono la sua compassione per coloro che vivevano nella sofferenza. Divenuto vescovo delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e, successivamente, anche della diocesi di Ruvo, Don Tonino Vescovo mantenne il titolo semplice di Don Tonino, e con esso la profonda umiltà che aveva caratterizzato fino ad allora il suo operato come sacerdote e come uomo. Sempre vicino alla gente e alla loro sofferenza, promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lottò in nome della giustizia sociale, della solidarietà e contro ogni forma di emarginazione. Come successore di monsignor Luigi Bettazzi alla guida di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, manifestò il proprio dissenso alla guerra e combatté contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Colle, con marce per il disarmo, oltre che contro l’intervento bellico nella Guerra del Golfo. Il suo impegno per la pace si fece ancora più tangibile dopo la fondazione della rivista mensile Mosaico di Pace. Malato di cancro allo stomaco, Monsignor Tonino Bello si recò in Bosnia e Erzegovina nel 1992, durante la guerra civile, marciando a piedi fino a Sarajevo stretta dall’assedio serbo, per diffondere il suo messaggio di solidarietà e speranza. Morì a Molfetta il 20 aprile 1993, lasciando un’eredità di amore e dedizione al servizio degli altri. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Alessano, il suo amato paese natale. Nel 1994, gli fu conferito il Premio Nazionale Cultura della Pace alla memoria, un riconoscimento dell’importanza del suo lavoro nella promozione della pace e dell’amore tra le persone. La sua figura rimane un esempio di umiltà, compassione e impegno per il bene comune, un faro di speranza per tutti coloro che cercano di seguire i valori evangelici nella loro vita quotidiana. Ma cosa ha fatto Don Tonino Bello che lo ha reso così speciale? Oltre alla sua vicinanza alla gente, è stato un fervente difensore della giustizia sociale. Ha speso la sua voce e la sua energia nella denuncia delle ingiustizie, nella difesa dei diritti umani e nella promozione di una società più inclusiva ed equa. Ha lavorato instancabilmente per alleviare la sofferenza dei poveri, dei malati e degli emarginati, portando avanti un messaggio di amore, compassione e accoglienza per tutti. Il suo impegno per la pace e la riconciliazione è stato un altro aspetto distintivo della sua opera pastorale. Durante un periodo particolarmente turbolento della storia italiana, Don Tonino Bello ha promosso incontri e dialoghi tra persone di diverse ideologie e convinzioni, cercando di superare le divisioni e costruire ponti tra le persone. La sua voce pacifica e conciliante ha contribuito a calmare animi e a favorire il dialogo costruttivo. Il 3 luglio 2020, Papa Francesco ha riconosciuto l’eroicità delle virtù di Don Tonino Bello, conferendogli il titolo di Venerabile. Don Tonino Bello ha avuto un’intimità profonda con la Storia. Chi crede in Dio e si affida a Lui è capace di leggere, nelle pieghe della cronaca, i destini dell’umanità, di scrutare i segni dei tempi, di riconoscerli. È importante sapere che veniamo da lontano e imparare a riconoscerne le conseguenze nel cogliere il presente e nel pensare al futuro, anche quando non lo vediamo se non con gli occhi della fede. Nelle vene della storia passa il destino dell’umanità stessa. Se proviamo, da questa prospettiva, a leggere la trilogia delle lettere di don Tonino: la lettera a Giuseppe il falegname, poi quella a Maria, la madre di Dio e, infine, quella a Gesù, coglieremo subito l’attualità di ogni pagina di quest’ultima lettera. Capiremo come parole scritte nel 1990 sembrano dettate oggi, perché il presente ha radici nel passato. L’incontro con Gesù avviene nel deserto, dove l’unica ombra capace, in alcune ore della giornata, di dare sollievo, è la propria. Lì, dove ogni possibilità di relazione con gli altri è negata e dove il silenzio ha, nel rumore del proprio respiro, l’unica certezza di essere abitato, don Tonino incontra Gesù, il figlio di Dio. La scelta del deserto appare al vescovo, in un primo momento, non solo strana, ma anche un po’ incoerente rispetto al mandato per cui il Verbo si è fatto carne. Non doveva forse venire per stare in mezzo agli uomini, l’Emmanuele? Perché dagli uomini è già fuggito? Forse è già stanco di una umanità impazzita e rabbiosa? Il vescovo, però, ha urgente bisogno di incontrare Gesù e, all’inizio della lettera, non importa il luogo dove questo incontro accada. Ciò che conta è la ragione che lo porta a cercarlo. Ha un bisogno struggente di porgli una domanda: “Vivo solo col presente, o convivo col passato? Da quali falde affiora alla mia coscienza questo bisogno struggente di comunione?” “Tempi duri per gli aneliti di comunione. A livello pubblico e privato. Precipitano le difese immunitarie della convivenza. E, nonostante il gran parlare, alla borsa dei valori le quotazioni della solidarietà sono quelle più in ribasso”. Ed è solo dopo l’affiorare della domanda, in tutta la sua spasmodica urgenza, che il luogo dell’incontro assume tutta la sua rilevanza. Nell’assenza di ogni cosa e nell’arsura che ricopre le distese aride e inaridite, il luogo assume le ragioni perché la ricerca porti a risposte autentiche. È Gesù che sceglie di farsi trovare nel deserto: “È incredibile: ma questo deserto, incapace di legarmi agli spazi, compie ora il miracolo di congiungermi con i tempi, e me ne riporta i tumulti, così come le conchiglie di Santa Maria di Leuca, accostate all’orecchio, mi riportano concerti di oceani lontani e profumi di remote scogliere” scrive don Tonino. Come a dirci, dopo averlo capito lui stesso, che bisogna connettersi profondamente a ciò che scorre nel corpo della Storia per vincere la voglia di fuggire dalle responsabilità che abbiamo, abitando un tempo minuscolo del suo tempo infinito. “Bisogna entrare nel deserto e lasciarsi scavare dalla paura dell’ignoto.” Capisce questo don Tonino prima di scorgere le uniche tre cose, accanto all’orcio con poca acqua, che in quello spazio vuoto fanno compagnia al Figlio di Dio. La bisaccia che sembra vuota. Il rotolo dell’alleanza. Il bastone del pellegrino. Simboli e segni, questi, per imbastire le risposte, per tornare nel frastuono delle comunità senza la paura di farne parte. Come non dire ancora Grazie a questo vescovo innamorato dei poveri e profeta di Pace. Come non dirlo oggi, quando la logica della violenza e della guerra sembra conquistare i cuori di tanti e di addormentare le coscienze. Grazie don Tonino e grazie al suo coraggio di combattere sempre e fino alla fine la logica della violenza e della guerra, anche quando sembra non serva a niente e non convenga».
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Giugno 2025. Perché ricordare ancora Don Tonino Bello